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Il debutto straordinario di Alex MacCarthy con “La bellezza intatta di Rosalind Bone” edito da Neri Pozza è una lettura delicata e tagliente, per restare a lungo con noi.

 

“La sua bellezza sorge ancora, uccidendo con la sua luce l’oscurità. Innalzata sopra ogni cosa. Selvaggia…”

Alex McCarthy

C’è una giovane donna che decide di fuggire da un villaggio malsano.

Una donna dalla bellezza eccessiva per valligiani gallesi di Cwmcysgod, un toponimo che significa “valle dell’ombra”: “cwm”, valle e cysgod, “ombra”. Una donna che ha subito violenza sia fisica e sia mentale. Non potrà fare la vittima. Non potrà parlare di abuso, né di dolore per un padre perduto. Questa donna si chiama Rosalind Bone che per gli altri è una egoista al punto da aver abbandonato il paese, in una notte di ventisette anni prima, senza lasciare un biglietto. Di lei rimane solo una fotografia scattata qualche giorno prima di scomparire nel nulla.

Credits Ph Mitchell Orr

È lei la protagonista del romanzo “La bellezza intatta di Rosalind Bone” edito nella collana dei Narratori di Neri Pozza, con cui la scrittrice Alex MacCarthy, ex danzatrice e coreografa, che ci porta a riflettere quanto il desiderio di sentirci unici e allo stesso tempo essere come gli altri, riescono a coesistere più facilmente e comunemente, di quanto crediamo o come ci piacerebbe pensare.

Vale dire: la tolleranza del dolore di essere esclusa anche dalla stessa sorella con cui è cresciuta, l’autostima, l’amore proprio, la dipendenza affettiva, l’eccesso di suddette cose, o la loro totale assenza.

In fuga dal dolore, espulsa dalla società perché una ragazza a detta di tutti di una bellezza straordinaria ma, secondo i più, fredda ed egoista, Rosalind Bone decide di lasciare Cwmcysgod e rifugiarsi nei boschi.

Lì si costruisce un universo tutto suo, aggiungendo ogni giorno esperimenti per entrare in contatto con la natura selvaggia dove si perde e si scopre di essere in grado di predire le cose. E nel frattempo la sua bellezza cresce dalla superficie e si sposta nell’anima, dove potrebbe regnare incontrastata, se non fosse per il peccato di un uomo che ha abusato di lei. Il suo peccato si ritrae di fronte al calore del crescente possesso di sé. Si ritira vigliaccamente, ma si riforma in mille piccole schegge, capaci di ferire una donna nel cuore della notte.

Credits Ph Marc Pell

Viene da pensare che la deriva è l’unica direzione che desideriamo prendere. E che la soluzione stia solo nell’accettarla, per rieducare il nostro corpo.

Nel romanzo la trama audace e tagliente si rivela per quello che sono gli eventi liberatori, che prescindono dalla volontà di chi li subisce.

La nostra eroina sopravvive e, se il libro non finisse, andrebbe di sicuro in cerca di una nuova e interessante deriva. Ma qui si ferma, chiudendo la porta alle spalle, lasciando a malincuore il luogo boschivo, un romanzo che ha la sfrontatezza di certi autori minimalisti americani, mi vengono in mente Bret Eston Ellis con “American Psycho” del 1991 o Amy Hempel con “Ragioni di Vivere” del 2009, e la grazia e imprevidibilità del cinema “Fight club”di David Fincher del 1996, tratto dal romanzo di Chuck Palahniuk.

Credits Ph. Magda Vrabetz

Un esordio poetico che si sofferma su ciò che manca nelle nostre vite e quello che niente ci può far sorridere. E d’altronde intorno a cos’altro, se non ciò che manca al niente, costruiamo romanzi e vite.

Di Alberto Corrado