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Al Musée Rodin di Parigi va in scena il potere della saggezza del sapere creare attraverso la ricerca dell’anima quel rapimento contemplativo che si chiama Haute Couture.

Bisogna mettersi nella posizione giusta, per poter ammirare la sfilata Dior Haute Couture Primavera- Estate 2024, e la posizione giusta non certo quello di essere in front row sotto le luci dei fotografi, ma bensì in un seat dove nel silenzio della propria anima si apprezza quell’aura che effonde ogni singolo manufatto dell’Haute Couture.

Nel caso dell’installazione Big Aura la postura che Maria Grazia Chiuri, direttrice creativa della Maison, e Isabella Ducrot, pittrice che prevede l’uso del materiale tessile per realizzare le sue opere, è l’unica corretta. E cioè: siamo di fronte l’unicità e l’autenticità dell’opera d’arte e nello stesso tempo alle registrazioni frammentarie, ellittiche, intuitive di pensieri ed esperienze femminili.

Due donne che affidano alla memoria collettiva le proprie esperienze, le letture, le emozioni, i propri pensieri, i propri turbamenti amorosi e le disavventure della vita quotidiana, in un mélange di astrazione e concretezza, in cui spontaneamente appare il carisma della moda.

Dunque non si leggano codici per amore del fashion, sarebbe proprio uno spreco. Si perderebbe la possibilità rara di assistere di nuovo alla rinascita della Haute Couture. Quale emozione più grande, per chi ama ricordare l’abito La Cigale della collezione Haute Couture autunno- inverno 1952 nella costruzione scultorea e nel tessuto moiré, che nella sua consistenza rimanda al sacro, a diventare punto di partenza di una teoria di modelli che ricontestualizzano la Haute Couture nella sacralità dell’Atelier.

Ripeto, non leggete fugacemente il moiré usato in una eclatante palette di colori che ne esalta la cangianza materica, dall’oro al bianco, dal grigio al vinaccia fino al verde. E così che si perde l’occasione unica di osservare in silenzio, nel retrobottega della mente, le linee geometriche de La Cigale che impongono una posa di coat dai colli importanti, ma anche gonne ampie che si permettono faldoni esagerati, per definire tutta quella fase di preparazione che ha nome “gestazione” dell’abito.

Creare per Maria Grazia Chiuri è vocazione, per ricostruire silhouette contemporanee, che moltiplicano l’esprit degli originali.

Siamo nella tradizione dell’arte su quell’unico sentiero, dove l’esperienza umana può crescere e sviluppare un artista, e cioè nel contatto creativo tra sense and sensibility, proprio lì dove ragione e sentimento si sfiorano in una sola lingua: lingua creativa per Maria Grazia Chiuri e artistica per Isabella Ducrot. Non a caso, la mente di della Ducret appare alla Chiuri come un opificio, un magazzino di magia dove ventitré abiti smisurati, alti circa cinque metri, applicati su una griglia disegnata da righe nere irregolari affrescano la sala scelta al Musée Rodin di Parigi.

C’è un livello di comunicazione apofatica, che queste due donne praticano. Entrambe in modo diverso esplorano e amano la bellezza, la varietà, hanno però entrambe bisogno per appartenere al mondo, di appartarsi nel silenzio della creatività. Nella magia di una immaginazione che sboccia nel silenzioso rapporto con la grammatica della passione per aprirsi in colloquio mistico, onirico.

Di Alberto Corrado