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Un allestimento immersivo creato da Maison Margiela Artisanal Collection conduce lo spettatore in un viaggio tra moda e fiction. Con una parola chiave: emozione.

Un grande, lungo, estraniante presente si è ingoiato il passato e quasi il futuro. Siamo tutti immersi in un qui e ora dove alle spalle ci sono solo rimpianti e nostalgie di una moda, mentre davanti vi è un futuro già certo.

Un presente permanente che appare come una paralisi, verso cui un progetto di Maison Margiela Artisanal Collection, si è posto, e opposto, indagando via via le dimensioni del rito di vestirsi attraverso delle composizioni, dove il corpo come tela diventa espressione esteriore dell’interno, sotto forma di emozione.

Attraverso Maison Margiela  2024 Artisanal Collection, il direttore creativo John Galliano ci ha portato ad esplorare sotto il ponte Alessandro III, immerso nella luce della prima luna piena dell’anno, una passeggiata nel ventre di Parigi, con una consapevolezza focalizzata dei festaioli notturni, che incontrano durante una passeggiata lungo la Senna, confrontandoci con approcci concettuali e pratiche tecnico filosofiche sulla presenza della sensibilità, per disconnettersi dalle visioni omologate della moda.

Con Maison Margiela 2024 Artisanal Collection ci si muove tra moda e fiction, mettendo al centro quella espressione emotiva fisica di forma, per immaginare capi intrisi dai gesti inconsci che plasmano le nostre emozioni: da un caban tirato, sopra la testa sotto la pioggia, al bavero alzato per coprire il viso, fino ad un pantalone alzato, per evitare una pozzanghera.

Una collezione che evoca il mito del vaso di Pandora, che fece uscire tutti i mali del mondo riuscendo a conservare sul fondo solo la speranza, e che scaturisce dalla riflessione di Roland Barthes, che si è domandato il senso della moda tra passato e futuro, fosse una categoria di pensiero e condizione esistenziale perduto.

Come reagire a questo atrofizzante presente infinito, frutto avvelenato del capitalismo, se non attraverso il concetto di fragilità messa a fuoco che si dispiega in abiti modellati attraverso forme di dissolvenza, illustrati meticolosamente nella lavorazione manuale della degenerazione del dettaglio, che avviene quando un’immagine viene imitata in intrecci di petali, godet, rosette e ruches, che degradano dal basso verso l’alto in espressioni di retrogradazione.

Una forma di via di uscita capace di creare alcune materializzazioni su body acquarellati in tulle nella grammatica fauvista del pittore franco olandese Kees Van Dogen.

È naturale, che la collezione si interroghi, quindi, in quella sintesi tra processo pittorico e il rituale della vestizione, accendendo il focus sullo studio della musa, rapporto formatosi spesso tra gli artisti e le loro bambole anatomiche laiche, che qui viene trasmesso con abiti di chemisier, nei tailleur gonna di tweed realizzati attraverso la tecnica del rétrécirage, che in parte restringe un indumento per generare espressioni anatomiche o civettuole con linee di spalle illustrative.

Una collezione giocata su un allestimento immersivo per coinvolgere anche percettivamente lo spettatore, creando una condivisione empatica sulle alternative, sul senso di immaginazione aperta e critica, che vuol suggerire tutto il progetto.

Un linguaggio della forma, che ritorna anche nelle scarpe create da Christian Louboutin, dalla suola rossa scolpita con talloni e plateau maggiorati, metafore del giorno e della notte, di come la verità sia sempre composta da ambivalenza.

Di Alberto Corrado