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Johan Ehn con il nuovo romanzo edito da Fandango getta un ponte tra passato e presente, con parallelismi inquietanti con il nostro tempo.

“E qui che voglio stare.

Per sempre.

Con te.”

Johan Ehn

Raccontare la violenza a un ragazzo non è impresa facile. Guardando all’indietro nella letteratura per ragazzi, da quella antica a quelle contemporanea, è riuscita a trovare la chiave capace di far scoprire all’adulto del domani che sopraffazione e ingiustizia sono le realtà concrete quanto il fuso della Bella Addormentata e le molliche di pane di Pollicino. E in alcune storie, si è fatto anche di più, andando oltre le rappresentazioni più prevedibili come nel dualismo tra buono e cattivo, restituendo al lettore la complessità dei punti di partenza e la precarietà dei punti di arrivo.

JONATHAN EHN ,photo di Andreas Kock

Tra i pochi che sanno parlare con onestà al malleabile cervello dei giovani lettori è assieme al celebre Gianni Rodari, è l’attore, regista, sceneggiatore e direttore artistico del gruppo teatrale Teater Barbara Johan Ehn. Qualche cenno sulla sua biografia si può trarre dalle sue opere tradotte in tutti i paesi scandinavi fino al romanzo “I ragazzi dei cavalli” edito per Fandango.

Nato a Boo in Svezia, diviene nel 2017, autore per ragazzi con la novella Down Under scritta per diventare una opera teatrale, dove i valori e sentimenti umani toccano il lettore o lo spettatore, ma per vari motivi non viene messa in scena.

Ehn riteneva che il problema principale degli scrittori fosse la tendenza a ritrarsi traumatizzati dal mondo che cambiava velocemente, rinunciando alla possibilità di capirlo e, quindi, di comunicare le sue tante idee anche le più fantastiche. Per questo un anno dopo cominciò a scrivere la sua seconda novella partendo dalla consapevolezza di essere più possibile contemporaneo, per entrare in sintonia con le nuove generazioni e le loro proiezioni del futuro. Questo fu la sua dichiarazione poetica per scrivere “I ragazzi dei cavalli” un romanzo importante e commovente che ha parallelismi inquietanti con il nostro tempo.

Magnus Hirscfeld, fondatore dell' Istituto per la Scienza della Sessualità
Tra il 1933 ed il 1936 inizia la persecuzione della comunità LGBTQ+ tedesca
Giovani Sokol con i loro costumi tradizionali

Il libro inizia nella Cecoslovacchia della prima metà degli anni’20 in un orfanotrofio dove crescono Janeck e Sasha: il primo tranquillo e introverso, il secondo il suo esatto contrario, socievole ed estroverso, che vuole bene all’amico e lo protegge dai pericoli del mondo.

I ragazzi si allenano a fare acrobazie, soprattutto a cavallo, fino ad unirsi ad un circo di un circense italiano, ed insieme viaggiano per tutto l’Europa esibendosi con il nome di The Golden Brothers.

Il loro rapporto da amicale diventa di qualcosa di più importante con la scoperta della sessualità, anche se mantengono nascosto segreto il loro amore. Quando il circo arriva a Berlino, al tramonto della Repubblica di Weimar, nell’esplosione degli spettacoli di vaudeville, sentono di aver finalmente la loro casa. Questo sembra almeno fino al gennaio 1933 dove tutto si rompe, quando i nazisti prendono il potere e saranno costretti a difendere non solo il loro rapporto, ma anche la loro stessa vita.

A raccontare a distanza di più di un secolo, è Anton, un ragazzo di Stoccolma, che per lavoro si occupa di badare agli anziani soli. E attraverso gli sguardi, gli oggetti e vecchie fotografie di un anziano, Anton ricostruisce il puzzle di una vita, gettando un ponte tra passato e presente.

Johan Ehn restituisce al lettore adulto il ritratto di una gioventù poco conosciuta e raccontata, quella che furono oggetto di persecuzione e genocidio durante le epurazioni naziste.

Nel libro la brutalità della guerra appare in tutta la sua nitidezza: dalla distruzione degli archivi dell’Istituto fondato dal dottor Magnus Hirschfeld sulla scienza della sessualità alle rappresaglie dei vari club che si trovano elencati nell’archivio dello Schwules Museum di Berlino e in vari romanzi e saggi di riferimento.

La scrittura asciutta, ci immerge in quella desolazione degli anni che vanno dal 1933 al 1945 dove circa 100.000 uomini siano stati arrestati per omosessualità. Di questi, circa 50.000 circa furono condannati ufficialmente. È difficile trovare delle cifre esatte, ma intorno ai 15.000 furono mandati nei campi di concentramento, dove si ritiene che il 60% dei prigionieri sia stato ucciso. I prigionieri omosessuali sono stati riconosciuti dalle autorità tedesche come vittime dell’Olocausto solo nel 2002.

Un romanzo dove emerge l’esistenza di due opposte polarità di una storia, caratterizzata da cambiamenti rapidi e da un livello emotivo profondo da ogni singolo personaggio che a mano a mano il lettore incontra. Un ritrarre le passioni e le sofferenze, ricorrendo ad una scrittura che è tanto più efficace quanto più sembra prescindere dai dati generazionali di una categoria di pubblico selezionato in precedenza.

Quella di Johan Ehn è, in questo caso, una scrittura straordinariamente malinconica, che in maniera struggente ci parla della fine di un amore e della fine di un’epoca, che non deve mai più tornare.

di Alberto Corrado