fbpx

Alessandro Michele, analitico e costruttore di sogni, crea una collezione fatta di forme, colori e referenze multiple.

Nel castello di Federico II di Svezia costruito alle porte di Trani, prende vita, in una notte di luna piena, la collezione Cosmogonie di Gucci disegnata da Alessandro Michele, direttore creativo della Maison.

Non poteva esserci un luogo migliore di questa fortezza per presentare una collezione che descrive costellazioni creative, di incontro di forme, di vite e di attitudini e di storie, e non a caso diventa l’assunto del titolo, come una sorta di spiegazione scientifica della formazione dell’Universo attraverso la astronomia, scienza che osserva la formazione e l’evoluzione dei corpi celesti.

La stessa che porta Alessandro Michele ad esplorare le costellazioni e i mondi fantastici in cui il vestito assume il ruolo di ammantare il corpo, per esprimere quella evoluzione di storia del costume.

Il castello ha misure magiche cosi come sono magiche le misure dei colli delle camicie e le misure delle giacche” dichiara Alessandro Michele prima dello show “Per questo che mi è sembrato che qui anche la disposizione delle pietre della costruzione racconti la genesi del mio lavoro, ma soprattutto racconti quanto fare il mio lavoro sia importante mettere insieme delle costellazioni di cose”.

Cosmogonie trasferite in vestiti, come codici misteriosi che serbano accenni di un tempo passato e sprazzi di un presente, proprio come i numeri cabalistici e alle forme del castello costruito su base ottagonale, con stanze interne tutte a forma di trapezio,

Percezioni che si trasformano in gorgiere che adornano colli e polsi di un capo, in luminosità luccicante di un abito che talvolta si stempera in lingue di fuoco sul corpo, nei giochi di colore come le carte da gioco, o nei ricami mitologici e astrologi accennate nel velluto di un vestito.

Un racconto di moda che diventa un rave di vestiti senza connotazioni di genere, come elementi cosmogonici che rivelano storie di tutt’altro mondo, quello che si libera dalle costrizioni della necessità, del resto Alessandro Michele lo aveva affermato già da prima “la moda esiste anche quando non dà vita a un business”, frase quanto mai vera.

Nel trionfo di luci e costellazioni riportate sulle mura del Castello di Federico II attraverso proiettori,  e con una luna piena e rossa , come una sorta di ritmo catartico, sfilano abiti con gorgiere, giacche e  lunghe cappe da uomo che sembrano cotte medioevali, capispalla dai colori sfumati e da texture tribali, cuissards allacciati con stringhe, abiti impalpabili che espongono il corpo nudo, abiti sartoriali maschili con pantaloni corti al ginocchio, denim corti o lunghi adornati di pietre sfavillanti e tantissimi gioielli che impreziosiscono i volti come quelle delle donne nelle cerimonie dei matrimoni berberi o che ci rimandano ai gioielli del Sacro Romano Impero, come tiare longobarde appoggiate sui capelli.

Vestiti che diventano corpi e corpi che diventano vestiti, per un rito iniziatico dai misteri conosciuti che la moda sa rinnovare, per poi concludersi sulle note di Supermodel, eseguita dai Maneskin, che libera la compostezza degli ospiti, per trasformarli in anime danzanti di un rave.

Di Alberto Corrado