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AL SETTIMO PIANO DI UN PALAZZO DEL 900 I FRATELLI MAIO ACCOLGONO GLI OSPITI IN FUGA DAL TEMPO. UN LUOGO ADATTO A RAFFINATI SPAESAMENTI E A MAGICHE CONTEMPLAZIONI ARTISTICHE.

“Che è la vita? Un’illusione,

solo un’ombra, una finzione,

…. la verità è un sogno,

e i sogni, sogni sono”.

Pedro Calderón de la Barca

La golosità è un peccato che porta dritto alla lussuria e, se la si percorre con troppo indulgenza, alla perdizione dell’anima. Per questo nella storia luterani, calvinisti e molti altri aspiranti alla perfezione cristiana mangiavano male. I cattolici, invece, rassegnati al peccato originale e alle debolezze umane, sono totalmente più flessibili nei confronti della buona cucina, da aver forgiato l’espressione “boccone del prete”,per definire una pietanza squisita.

 In un momento di ispirazione poetica, dovuta alle emozioni di una serata passata a gustare i colori d’autunno, tra tartufo bianco e ottimi vini barolo, mi è venuto in mente di condividere dei pensieri, un modo per mantenere sveglio attraverso un racconto l’immenso stuzzicante repertorio della letteratura universale della buona tavola.

Al settimo piano della Rinascente, uno di quei luoghi intrisi di storia, nato dalla vendita dei Fratelli Bocconi al senatore Borletti nel 1917 che commissionò a Gabriele D’Annunzio, l’ideazione del nome, incastonato nello spot più scenografico di Milano, con affaccio privilegiato sulle guglie del Duomo, si trova il Ristorante Maio, creato dallo spirito moderno e visionario di Alessandro e Massimo Maio.

Ciò che mi ha colpito subito è il design raffinato e la scelta dei materiali italiani ricercati e funzionali, che mi hanno subito ricordato la casa dei miei zii antiquari in via Verri, negli anni della “Milano da bere”, i quali restaurarono il loro appartamento presi da quella vivacità moderna di poter trasmettere quella nuova avanguardia che si stava consolidando, dopo anni tristi e di piombo.

Uno spazio, dove la bellezza dell’arte si sposa con l’ampia sala da pranzo per continuare in maniera fluida nella cucina a vista, dove si celebra l’italianità con le autentiche proposte dello Chef Luca Seveso, senza mai dimenticare di esplorare nuovi sapori, con un’attenta selezione di materie prime di elevata qualità.

Alessandro Maio, Chef Luca Seveso e Massimo Maio

Nessuno, raccontandolo, potrà mai rendere giustizia allo spettacolo di questi piatti dedicati al foliage di questo periodo dell’anno: dall’ insalata di misticanza invernale composta da mele, comtée vinaigrette al lampone in abbinamento al Luigi Coppo Alta Langa etichetta storica Coppo, al sapore di quel cappuccino di zucca e spuma affumicata di Parmigiano abbinato al Barolo Serradenari 2015 creato dalla passione dei viticoltori di Dosio Vigneti, capace di resuscitare il gusto ai morti. O anche la consistenza cremosa di un maccheroncino alla carbonara abbinato al Barolo 2010 di Dosio Vigneti che diventa da subito il perfetto vino che ti arriva al cuore, fino al brasato di Wagyu (dal giapponese “wa”: Giappone, e gyu: bue, termine riferito a diverse razze che producono carne intensamente marmorizzata da un gusto tenero e divino) con cips di polenta alla curcuma e purè di sedano bianco abbinato alla grande personalità ed eleganza del Barolo Fossati 2008 di Dosio Vigneti.

E qui che il cibo si trasforma come viatico per l’anima che si eleva in sospiri e le virtù più recondite della nostra umanità messe a tanta prova si riprendono, mentre il gelato allo zabaione con salsa ai marroni e crumble di nocciole, da l’ultimo colpo di spugna alle molteplici perdite accumulate nel viaggio dell’esistenza, ci restituisce l’incontenibile sensualità della dolcezza della vita.

È chiaro che con un’esperienza così variegata, la cucina dello Chef Luca Seveso poteva arricchirsi solo con il prodotto principe della terra quale è il tartufo, prodotto da Appenino Food Group S.P.A., nato dalla passione innata di Luigi Dattilo per la natura e gli animali.

Deu meu” esclamano tutti i commensali, non so se in latino o in catalano, con lo stesso tono esaltato che avrebbe utilizzato se Cervantes lo avesse affidato ai sospiri di Don Quijote y Sancho Panza.

I fratelli  Maio dimostrano una volta di più l’importanza di trasferire, anche in cucina la bellezza senza tempo, dove l’equilibrio tangibile e dell’intangibile lasciato ai sensi, suscita la meraviglia nel raccontare la loro azienda e i suoi prodotti, senza farne mera pubblicità.

Come accade spesso negli spazi aperti delle loro terre d’origine dove l’odore del mosto diventa uno schiaffo emotivo, i colori del crepuscolo come uno specchio, in cui guardare dentro e magari provare ad aggiornare la carta dell’identità con la definizione migliore del loro lavoro “E’ vero siamo dei sognatori”.

di Alberto Corrado