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Nei momenti di festa desideriamo riavvolgere il filo dei ricordi, cercando i ritmi lenti, per gustare in convivialità, i frutti della nostra natura.

La vita è una scatola di biscotti. Hai presente quelle scatole di latta con i biscotti assortiti? Ci sono sempre quelli che ti piacciono e quelli che no.

Quando cominci a prendere subito tutti quelli buoni, poi rimangono solo quelli che non ti piacciono. È quello che penso sempre io nei momenti di crisi.

Meglio che mi tolgo questi cattivi di mezzo, poi tutto andrà bene. Perciò la vita è una scatola di biscotti.

(Haruki Murakami)

L’imposizione del lockdown nel 2020, ci ha fatto restare senza ristoranti, ma nello stesso tempo a riformulare il pensiero di quanto sono importanti, perché mangiare fuori soddisfa i bisogni che sembrano fondamentali per la natura umana, quella che la gente ha bisogno di uscire per appuntamenti, per concludere accordi e per osservare i propri simili. E come dire che frequentare un ristorante è viaggiare senza viaggiare, o semplicemente sentirti accudito.

Giacomo all'Arengario

Le persone mangiano fuori casa da secoli, basti pensare a Pompei, distrutta da un’eruzione del Vesuvio nel 79 D.C., gli archeologi hanno contato quasi 158 thermopoli, gli analoghi caffè e trattorie, dove il cibo poteva essere consumato rapidamente con una bevanda.

La table d’ hôte, comparsa in Francia intorno all’epoca di Samuel Cole, antesignano delle attuali taverne, somigliava a un ristorante moderno, dove i clienti si sedevano attorno allo stesso tavolo e mangiavano quello che veniva servito in base ad un menù fisso, una tendenza che tra l’altro oggi quasi tutti chef stellati stanno facendo tornare in auge.

Thermopolium negli scavi di Ercolano
Un thermopolium negli scavi di Pompei

Quando decollò il capitalismo, questi spazi pubblici dove si serviva cibo e anche vino si trasformarono in luoghi per comunicare e confrontarsi, come osservava il poeta Charles Baudelaire, dove nel diciannovesimo secolo le persone si abbandonavano all’ostentazione dei consumi.

E così che il ristorante divenne l’habitat naturale del flâneur, il gentiluomo che vaga osservando oziosamente la vita, sedendosi nel migliore locale per vedere ed essere visto, che sceglie il proprio pasto à la carte, che sostituì il menù fisso della table d’hôte.

Agli inizi del ventesimo secolo fu pubblicata la prima Guida Michelin mentre le stelle arrivarono dopo, ma la crescita della ristorazione è sempre restata invariabile, salvo nel periodo della emergenza sanitaria.

Paris, a Rainy Day, 1877, Gustave Caillebotte

Quello che ancor oggi si apprezza nello stare intorno ad un desco è sentirsi accuditi e mangiare una cucina semplice e fantasiosa, due valori fondamentali che si ritrovano in Giacomo Bulleri, che dalla sua terra toscana, più precisamente a Collodi, dove ha a passato tutta la sua adolescenza immerso nelle tradizioni e nei valori di una realtà contadina, si trasferisce a Torino giovanissimo, per avvicinarsi a quel mestiere di cuoco.

Giacomo Bulleri a Collodi
Giacomo Bulleri

Nel 1958 si sposta a Milano dove apre la Trattoria da Giacomo in via Donizetti che rimane punto d’incontro della intellighenzia meneghina.

Il 1989 è una data importante, dato che viene associata ad un grande cambiamento per la Trattoria Giacomo che trasferisce in via Pasquale Sottocorno 6 e anche l’inizio della collaborazione con l’architetto Renzo Mongiardino, che porta quell’estetica del viaggiare in parallelo con le qualità delle materie prime, dell’offerta e del servizio di ristorazione.

Una visione che ha anticipato i tempi di quello che si può definire marketing strategico e operativo di quasi tutti i ristoranti stellati, basato sulla creazione, valuta, comunità e conversazione.

Una diversificazione che ha focalizzato per Giacomo Milano nuove aperture come Giacomo Bistrot, Giacomo Pasticceria, Da Giacomo all’Arengario, Giacomo Caffè Letterario, Giacomo Tabaccheria, Giacomo Gastronomia, fino ad ampliare il campo d’azione fuori dal territorio milanese aprendo Giacomo Pietrasanta nel settembre 2019, che segna il ritorno del fondatore nella sua terra d’origine, proprio pochi mesi prima della sua scomparsa.

Giacomo Pasticceria
Giacomo Rosticceria
Giacomo Caffè

Anche quest’anno per le festività di Natale i suoi locali sono diventati un appuntamento irrinunciabile per le famiglie meneghine e dei viaggiatori del gusto, all’insegna di quella condivisione e della convivialità, anche solo per assaggiare una buona fetta di panettone con una tazza di un buon thè, o una bevanda scelta dalla à la carte.

Il panettone di Giacomo Milano nasce secondo una ricetta tradizionale con oltre trenta ore di lievitazione naturale e con la scelta di materie prime come scorzette di arancia calabresi e uvetta della Turchia e con la profumata vaniglia Burbon del Madagascar, che lo rendono unico nel gusto.

Oltre al panettone classico che può essere servito con crema pasticcera, si può assaggiare anche quello proposto nella variante golosa con farcitura di gianduia a pezzi, oppure se non desideriamo rinunciare a portarlo a casa per i nostri momenti intimi possiamo acquistarlo in una preziosa latta disegnata da Cabana con i motivi floreali ispirati ai disegni di Renzo Mongiardino e agli interni del ristorante stesso

Giacomo Bistrot

Un panettone che adotta anche un approccio olistico, dato che ogni sua fetta diventa una parte di ricavato per sostenere Yorenka Tasorentsi Institute, associazione fondata nel 2018 dal leader asháninka Benki Piyãko, che si distingue per le sue attività multifocali mirate a proteggere la foresta amazzonica e la sua biodiversità attraverso il recupero di terre degradate.

Giacomo Bulleri

Preserviamo il nostro momento perfetto attraverso la bellezza inestimabile della tradizione e allo stesso tempo facciamo un passo avanti più consapevole nel consegnare un pianeta alle nuove generazioni, secondo quei valori che ci hanno tramandato e che dobbiamo preservare.

Una buona fetta a tutti!

Di Alberto Corrado