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La dolcezza di un uomo commosso che ride è quello che rimane nei nostri occhi al termine dello show. Un Giorgio Armani che ci prende per mano e ci porta ad innamorarci di nuovo della vita e dei rapporti persi, a causa di questo mondo che continua a sottrarci quei valori autentici che sono il sale della nostra esistenza.

“Oggi si ha voglia di dolcezza, di essere innamorati e che qualcuno si innamori di noi” dice lo stilista dietro le quinte prima che la sfilata abbia inizio “abbiamo voglia di recuperare dei rapporti persi a causa del mondo, che sta andando verso una situazione discutibile. Teniamo quello che abbiamo con i denti, abbiamo la Terra: cerchiamo di salvare lei e noi stessi. Lo storico teatrino di via Borgonuovo è stato sfondo di sfilate che in molti ricordano e che per me rappresentano il momento fondante della mia estetica. La decisione di sfilare di nuovo in questo spazio è legata al desiderio di recuperare con la collezione Giorgio Armani una dimensione più raccolta, intima. È un ritorno alle origini, senza alcuna nostalgia”.

Sulle onde di un filmato che fa da fondo allo show, le modelle sfilano al ritmo lento come se fossero abbagliate dai riflessi cangianti dei raggi del sole che vibrano sulla superficie marina per tradursi in tailleur in blu e bianco con tocchi di rosso vivo. Le giacche sono dolcemente destrutturate e scivolano sui pantaloni morbidi che ondeggiano a ritmo “Ti voglio cullare, cullare… posandoti su un’onda del mare, del mare” cantata da Nico Fidenco, e ci riporta con nostalgia a quelle estati indimenticabili dei nostri ricordi.

“Io adoro questi pezzi”, confida Armani. “È un omaggio all’Italia, ma non vorrei – minimizza lui – ergermi a salvatore della patria. Mi ricordano 40 anni fa, quando ho iniziato e queste canzoni accompagnavano il mio lavoro: questo insieme di cose mi ha convinto a calcare un po’ la mano”. Poi l’Armani pensiero si traduce in uno esercizio di stile che plasma i tessuti come se fossero delle opere d’arte dove la modellatura di ogni singolo capo diventa una bellezza purissima, che porta a chi lo osserva ad una dimensione celestiale quasi metafisica, come quando si legge una poesia leopardiana.

Un mètissage di stilemi che esplode nelle forme arabeggianti dei pantaloni ampi come gonne, nei completi dalle lunghe tuniche, nei foulard annodati o nelle cuffie crochet che tengono il capo coperto. E, ancora nelle scarpe piatte, aperte in punta o allacciate intorno al piede, e nelle borse a mano dai profili stondati, oppure piccole con manici arrotondati, e nelle grandi sporte e tracolle crochet. E quando cala la sera, e il mare ridà quella vibrante luce del trascolorare della luna, appaiono gli abiti luminosi senza peso, che sfiorano appena il corpo e nei quali la velatura di strati di tulle crea cromie fondenti e sorprendenti, sempre morbide.

Una collezione che è molto di più di una dichiarazione alla vita, ma che rappresenta quell’itinerario leggendario di espressione di una moda senza tempo.

Di Alberto Corrado