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Daniele Messina è lo scrittore che ha puntato i riflettori su uno spaccato del Sud, con i suoi peccati e le sue debolezze, i tipi umani dai grandi sogni e tutta la fragilità che appartiene a quell’illusione.

Nato a Taranto, ma residente a Roma dove si è laureato in Editoria, Comunicazione Multimediale e Giornalismo, ci racconta con un’intervista esclusiva a The Cube Magazine il tentativo di raccontare l’epoca che stiamo vivendo, in cui non esiste più una cosa certa come il momento presente.

Daniele Messina

 Il vero amore può davvero sconfiggere ogni cosa?

Scrittore pugliese all’esordio nel panorama letterario con “Il Rumore delle cose che finiscono” edito per la casa editrice Porto Seguro, mette a nudo la quotidianità di uno spaccato del Sud con al centro una storia d’amore tra Mattia e Vincenzo. Ma mentre il primo è circondato da persone che lo accettano per la sua omosessualità, il secondo combatte ogni giorno contro i pregiudizi omofobi del suo quartiere e della sua famiglia. Una ex fidanzata incinta, un migliore amico geloso e una madre combattuta sono solo alcuni degli ostacoli che Vincenzo e il suo compagno dovranno affrontare.

In questo caleidoscopio di emozioni, la scrittura di Messina mette a nudo la tenerezza, l’ipocrisia e la bellezza della vita di ogni giorno, frammenta in una serie di istantanee struggenti creando un climax che cresce fino ad esplodere.

Il libro è stato accolto a braccia aperte da molte persone, perché la sua scrittura creativa esce dagli schemi di autori che rappresentano personaggio omosessuali vicino ai quei contesti sociali bordeline, per calare i suoi personaggi in una normalità, troppo spesso riservata all’eterosessualità, tanto in letteratura quanto nell’immaginario collettivo.

Amore, omosessualità, riscatto e società sono i fili conduttori dell’opera dello scrittore.

The Cube Magazine ha intervistato Messina per approfondire le tematiche caratteristiche della sua prima opera e carpire qualche indizio sulle prossime mosse creative del suo prossimo romanzo.

Messina, qual è il suo rapporto coi libri letti in passato e la spinta a scrivere uno?  

Viscerale. Letture come “Una vita come tante” di Hanya Yanagihara, “Brevemente risplendiamo sulla terra” di Ocean Vuong e “Caccia all’omo” di Simone Alliva mi hanno sicuramente influenzato nella scrittura de “Il rumore delle cose che finiscono”. Volevo unire gioia e dolore, poesia e orrore, amore e odio, i diritti civili e la loro negazione. Volevo che suonasse intenso, sbavato come la vita reale, senza filtri. Spero di esserci riuscito, almeno in parte.

Dagli anni ’90 è mutato il suo approccio alla scrittura?

Negli anni ’90 ero un adolescente che teneva un diario, un po’ alla Anaïs Nin. Lì scrivevo tutto ciò che non riuscivo a dire a parole. Ero insicuro, fragile, con un gran senso di solitudine attorno. Un giorno, un po’ più adulto, ho buttato tutti i quaderni: ero pronto a rinascere. E con me, la scrittura, che c’è sempre stata, anche mentre non scrivevo.

Nella sua esperienza di scrittore e lettore, crede che il modo di raccontare l’omosessualità in letteratura sia cambiato nelle nuove generazioni di autori?

C’è sicuramente più libertà, si viene censurati e ci si autocensura di meno, si esplorano più aspetti legati all’omosessualità. Tondelli ha aperto le porte a questo tipo di narrazione, e le nuove generazioni di autori stanno seguendo la sua eredità.

C’è una ricca letteratura gay contemporanea?

Ricca non so, ma c’è, è viva, pulsante: oltre agli autori citati in precedenza, mi vengono in mente Statovci, Bazzi, Evaristo, Aciman, Fiorino, anche Desiati con il suo ultimo, bellissimo libro con cui ha vinto lo Strega. Ci sono tanti autori con libri meravigliosi, che sono costante fonte di ispirazione e che insieme creano un bell’affresco della realtà gay.

L’essere gay è ormai accettato in ogni narrazione?

Direi di sì, anche se a volte il problema è essere rappresentati secondo alcuni cliché, come se fossimo una massa informe, omogenea. La realtà è fortunatamente ben diversa.

Nel romanzo “Il rumore delle cose che finiscono”, lei mette in scena un eccezionale rapporto tra universitario e un semplice lavoratore, Mattia e Vincenzo. Qual è stato l’aspetto più difficile e quale quello più gratificante, nel descrivere il rapporto tra i due personaggi? 

Per rispondere a questa domanda ti racconterò un aneddoto: c’è un brano del libro in cui a Vincenzo viene detto “mi fai schifo” per la sua omosessualità. Mentre scrivevo di quel “mi fai schifo”, del suono che aveva e di tutto ciò che significava, ho pianto tantissimo. Ho scritto quelle pagine con le lacrime che, letteralmente, scendevano sulla tastiera. Ecco, quello è stato forse il momento più difficile e allo stesso più gratificante nel descrivere il loro rapporto, perché il dolore irrompeva improvvisamente e in maniera potente nelle loro vite, lasciando però intatto il loro sentimento. L’amore tra Mattia e Vincenzo rimane, su tutto e su tutti, al di là dell’orrore e prima ancora della gioia.

Nel romanzo protagonista indiscussa e la quotidianità, sia come punto di forza sia come punto di debolezza della vita di coppia. Dopo che ha scritto il romanzo, crede nella straordinarietà della vita quotidiana?

Senza alcun dubbio. I piccoli gesti, un sorriso improvviso, condividere un tramonto, o anche solo il divano. La vita non può essere un susseguirsi di fuochi d’artificio. E il silenzio dopo quel frastuono che va coltivato. Ho cercato di raccontare questo nel libro, l’amore tra due ragazzi che un giorno si incontrano e imparano a costruire il proprio lessico familiare, anche quando il mondo esterno si mette contro di loro.

La pandemia ha potuto incidere sul modo di scrivere?

Nel mio caso, più che sul modo, mi ha dato quella giusta dose di tempo libero per potermi dedicare interamente alla scrittura. Ma, in generale, ho come la sensazione che la pandemia abbia dato la possibilità alle persone di vedersi un po’ dentro, dando vita ad una sorta di rinascimento emotivo.

Cosa pensa del fenomeno della Cancel Culture, così invasivo negli Usa?

Che mi piacerebbe che si usasse una parola che stimoli il dialogo, o una qualsiasi forma di narrazione, piuttosto che una chiusura.

Nel ’90 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha rimosso l’omosessualità dal Diagnostic and Statistical Manual of Mental (DSM) e quindi dalla lista delle malattie mentali, si può parlare di una possibile strada verso l’obiettivo di promuovere eventi internazionali di sensibilizzazione e prevenzione per contrastare il fenomeno dell’omobitransfobia. Cosa è cambiato e cosa si è fermato.

È cambiato che se ne parla molto di più e in modo molto più consapevole. C’è maggiore attenzione alle parole da utilizzare, a come utilizzarle, al perché utilizzarle. Ma allo stesso c’è ancora molta strada da fare: se pensa che in Italia non siamo stati capaci di approvare la Legge Zan, o che non esiste il matrimonio egualitario, o leggi per l’adozione; se pensa che ci sono persone – attori, presunti comici – che dicono che si può dire qualsiasi parola, l’importante è prenderla con ironia; se pensa che c’è un’intera classe politica a destra che parla di lobby lgbt, di teorie del gender, beh, allora si capisce che non siamo messi benissimo.

 E ancora ottimista che qualcosa cambierà, un possibile rinascimento intellettuale?

Dobbiamo per forza essere ottimisti, non possiamo permetterci lo sconforto, anche se a volte ci sarebbe solo da alzare le mani e dire “mi arrendo”. Ma poi mi guardo intorno, leggo e vedo cose bellissime, c’è davvero tanto che si sta muovendo, e mi torna il sorriso: le cose in movimento sono difficili da fermare.

Sappiamo che sta scrivendo il prossimo romanzo, è possibile qualche anticipazione di quello che leggeremo?

Posso solo dire che protagonisti saranno altri due ragazzi. Non altro però, altrimenti mi viene l’ansia da prestazione!

Di Alberto Corrado