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Nicolas Ghesquière, direttore creativo di Louis Vuitton donna, per la sfilata pre-fall della Maison ha scelto Jamsugyo, a Seoul, il percorso pedonale, che pende sotto il ponte Banpo, dove ogni mattina i pendolari attraversano la sponda nord e sud della città.

Un luogo stimolante per mettere in scena uno spettacolo, lontano dai luoghi più ovvi e i sontuosi giardini di Seoul, e per parlare di questo passaggio pedonale che crea un’illusione, nello scomparire sotto il fiume Han, durante il monsone estivo.

Lo stesso fiume che è stato immortalato nel film horror/thriller The Host del 2006 di Bong Joon-ho con protagonista l’attrice Doona Bae, amica di Ghesquière, e che si avvistava increspato dal vento gelido che soffiava sabato scorso, provocando un senso di disagio ai vari ospiti intervenuti.

Il set-up era stato affidato a Hwang Dong- Hyuk, regista di Squid Game, che ha proiettato luci ambrate, che tremolavano sull’acqua in movimento, mentre il rombo di tamburi lontani e suoni di mostri marini venivano diffusi in maniera amplificata, provocando ulteriormente il senso di inquietudine.

Questa atmosfera out of the darkeness è stata rotta dal ritmo ipnotico musicale (interrotto solo da “Cuore Matto” di Little Tony in versione coreana) e dalla splendida Hoyeon Jung, modella e attrice, che ha aperto lo show.

In questa collezione, Nicolas Ghesquière ha voluto decisamente rivisitare i codici di Louis Vuitton e di quella prima collezione che elaborò per la prima volta quando divenne direttore creativo della Maison, senza essere tentato di assecondare il gusto coreano, con un qualcosa di attinente e forse non autentico dei loro costumi tradizionali o scivolare in rimandi orientali.

Partendo dall’allegoria perfetta della struttura architettonica viva del ponte che esiste in armonia con i capricci dell’acqua, Nicolas Ghesquière ha trasportato in scena una natura aereodinamica attraverso i top con cappuccio e nei body ed ha giocato con elementi sportivi che si sono visti abbinati a colori semplici e forti.

Un ritorno al lusso essenziale, che parte dagli abiti in pelle gessata e trapuntata ai cappotti in pelle di agnello o nelle versioni tenui del logo LV, oppure nei micro-monogramma dei pantaloni con stampa a scacchiera o un crêpe-body in lana che scende fino all’ombelico, portato con una cintura a morsetto.

L’unico scintillio lo si è potuto ammirare nel finale dei loungewear che includeva anche camicie con colletto alla coreana in twill a righe ricamate con scintillanti perline di cristallo.

Una sfilata come una sorta di viaggio diplomatico per raccontare i vari capitoli di una storia immortale di un brand di lusso, che resta sempre il numero uno per i compratori orientali. Una filosofia di viaggio applicata alla eleganza francese e un savoir-faire impeccabile che rimane sempre aperto al confronto.

di Alberto Corrado