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Gucci approfondisce il dialogo tra il suo patrimonio e la stimolante influenza della cultura sudcoreana presentando una Resort 2024 che rispecchia la comunità globale insita nel cuore della Maison.

In una Seoul affollata di centinaia di manifestanti e agenti di polizia che stringevano scudi antisommossa, tale di sembrare di ritrovarsi in un dejà vu di qualche mese fa a Parigi, quando manifestavano il movimento dei gilet gialli, si è svolto lo show di presentazione della Resort 2024 della Maison Gucci.

Sembrava uno strano scherzo del destino, ma che conferma quella grammatica visiva tratta da diversi codici geografici, che si è sviluppata da comunità sempre più vicine e collegate tra loro attraverso i continenti. Il legame di Gucci con la Corea del Sud è iniziato 25 anni fa, quando la Maison ha aperto il suo primo negozio monomarca a Seoul nel 1988.

Da allora, la presenza della Maison ha continuato a crescere, tale da individuare il set-up della Resort 2024 nel cortile delle cerimonie del palazzo Gyeongbokgung, risalente al XIV secolo e situato nel cuore di Seoul, meta di qualsiasi coreano che fin da piccolo lo visita in gita scolastica o nell’accompagnare ospiti, che desiderano vedere la fioritura dei ciliegi.

Il front row era pieno di celebrities, sia internazionali, come Dakota Johnson, Elisabeth Olsen e Saoirse Ronan, ma anche nazionali, come Hanni, IU, Lee Jung-jae di NewJeans, che ammiravano una collezione studiata per un guardaroba urbano globale, arricchito dall’inimitabile istinto per la moda che si esprime per le strade di Seoul e che trova eco in tutto il mondo, oltre che dalle tradizioni vestimentarie dell’abbigliamento sud coreano.

Una perfetta miscela di streetwear borghese e abbigliamento sportivo, dove il tailleur giacca e gonna in tessuto bouclé si abbinava alla camicetta di seta e alle scarpe con il tacco “Kitten Heel”, o dove le mute da sub si ispirano alla quotidianità dagli appassionati di windsurf e di jet-ski, che frequentano il fiume Han, fino alle silhouette aderenti al corpo che si contrapponevano agli ampi codici propri dello skateboard, equivalente terrestre del surf.

Essendo l’ultima sfilata gestita dal team di design, prima che il nuovo direttore creativo Sabato De Sarno prenda il timone, la collezione aveva un mix referenziale attribuito all’atmosfera alla città di Seoul, con moltissimi riferimenti Street style locali: dalla parola Gyeongbokgung decorata sul retro di una T-shirt ai pantaloni a vita bassa che avvolgono le caviglie, fino alla maxi gonna paracadute con un eccesso di lacci.

Le luci scintillanti del cortile in pietra con il tonfo sincronizzato delle mazze battute sui tamburi incensavano questa grande festa della moda che si concludeva con i look dedicati alla notte come nel superbo cappotto lilla in raso da Karen Elsonchiuso con un fiocco rosso simile a quello che si chiude una tradizionale giacca jeogori, o nelle illustrazioni surrealiste di gelatina rosa e zampe di gatto dell’artista locale Ram Han.

Anche gli accessori soddisfacevano questo processo di ibridazione tra Street ed eleganza, dando vita a uno studio sulla destrutturazione: dalle Gucci Horsebit Chainin pelle che sono apparse deformate o in formato ridotto, al simbolo del morsetto evocato nella pelle goffrata per una borsa da uomo, fino agli stivali stomper cyber-goth o alle sneaker Ace che assumono una forma arrotondata con i lacci in tonalità.

Uno show dove cultura e creatività sono stati codici importanti e che hanno trovano eco in tutti gli ospiti intervenuti che hanno applaudito con grande entusiasmo confermando il grande lavoro artigianale che Gucci porta da sempre, nel mondo.

di Alberto Corrado