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Danza e moda. La collezione di Alan Paul presentata a Parigi raggiunge davvero la sua eternità di bellezza.

“Quando mi sono ritrovato davanti alla mia matita e al mio foglio, ho pensato: “Cosa intendo ora?”

Alain Paul

 

Sarebbe bastato poco per rendere tutto banale: associare la danza con la moda. Alain Paul, nato a Hong Kong da padre francese e madre danese brasiliana, ha desiderato fin da subito mischiare gioiosamente la sacra danza con l’estetica profana della moda.

Da quando nel 1997 la famiglia si trasferisce in Francia si iscrive all’Opéra Ecole National Supérieur de Danse de Marseille, attualmente sede della compagnia (La) Horde, dove plasma con rigore il proprio corpo.

All’età di diciotto anni cerca una nuova strada creativa che aveva sperimentato attraverso il balletto e intraprende gli studi di moda a Parigi, per poi entrare a far parte nello staff della neonata Vetements, sotto la direzione di Demna Gvasalia e in seguito del fratello Guram Gvasalia, dove rimane fino al 2017.

Tra il 2018 e il 2022 entra a far parte del team di Virgil Abloh per Louis Vuitton, dove impara quel senso di libertà che diventa innesco, dopo la morte dello stilista, a creare qualcosa di suo, e solo in seguito nel 2023 fonda la sua omonima etichetta con suo marito Luis Philippe.

Se da un lato il pericolo dell’ovvietà era dietro angolo, dall’altro il giovane designer ha corso il rischio concentrandosi su i primi amori della sua vita, decidendo di creare una collezione intorno al balletto e più in generale alla danza.

Partendo dai codici sartoriali dell’abbigliamento e dalle regole ferree della danza ha esplorato il corpo per coreografare l’indumento portando al Theatre du Chatelet la sua prima esecuzione pubblica di uno spettacolo e naturalmente, il suo battesimo dell’acqua, come direttore creativo della sua etichetta.

Una collezione che ha il potere di far riconsiderare tutto il suo approccio alla storia della danza e quella della moda, dove l’archetipo figurativo di un nuovo prodotto è il corpo vivente, trasceso nella sua luminosa bellezza, senza mai rinunciare a una fisicità dionisiaca.

Basandosi sui capi base dell’abbigliamento, scrupolosamente studiati, come la giacca sartoriale e la gonna tubino, ha aperto uno squarcio sulla fisicità del corpo inteso come una presenza sensuale, immanente, all’interno allo stile classico, ma decostruito e talvolta astratto.

Una illusione che si evoca nell’abbinamento delle scarpette da ballo oppure negli stivaletti in pelle modellata, che spuntano sotto i vari abiti, per ricordare l’illusione della deformazione dell’osso del piede, familiare ai danzatori.

Lo show composto in tre atti. L’Arrivée che riflette un guardaroba sartoriale dove la giacca è allungata quasi scolpita per evocare la postura arcuata della spalla e la rientranza clavicolare originaria del movimento del balletto.

La Répétition, il secondo atto, che interpreta il justacorps, dove le fodere dei pantaloni da prova, fuoriescono sopra la cintura per evocare l’idea di una gonna integrata o di una fascia da smoking. L’energia del corpo look dopo look irrompe come una danza che non si ferma nei ranghi stretti dei pantaloni con elastici ad anello integrati con cinture da ballo, ma va oltre con le gonne basculanti che ammiccano a Le Sacre du Printemps di Pina Bausch del 1975 o ancora con l’unico abito rosso combinato da due stratificazioni, uno scivolato e l’altro drappeggiato, che emulano la pièce de résistance di quella messa in scena.

La Premiére, il terzo atto, che re-immagina i motivi della collezione attraverso un savoir-faire amplificato di un guardaroba ispirato al palcoscenico, dove il tulle traslucido drappeggiato attorno al busto ricorda i movimenti di una perfomance.  Qui la postura arcuata delle spalle e la rientranza clavicolare del taglio sartoriale è interpretata in un denim steccato e in silhouette in pelle fino, fino a liberarsi negli abiti in duchesse di seta.

In un momento storico in cui il corpo è privato del suo valore sacrale, la collezione di Alain Paul si libera dall’incubo di un’immagine di prodotto fino a sé stesso, che abbiamo visto di continuo nei vari show presentati tra New York, Londra e Milano.

Una lezione di moda e di pensiero creativo di un giovane designer che ha trovato dentro di sé il punto centrale di una visione superiore, cioè di come trascendere la realtà trasfigurandola in bellezza, e questo a mio avviso è il dato poetico, di come la moda può diventare un’apertura su più livelli di metafora, come simbolo estetico.

E quando l’arte creativa è parallela e si sovrappone alla moda, raggiunge realmente la sua vera eternità.

Di Alberto Corrado