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PierPaolo Piccioli obbedisce ai canoni della bellezza, che nascono dall’armonia, per parlare dell’inizio della Maison, ma anche del nuovo percorso tangibile dove specchiarsi e ritrovarsi.

Pierpaolo Piccioli, direttore creativo di Valentino, è sempre a suo agio, quando deve diffondere quel sapere tra arte e moda, che si identifica con la Haute Couture.

Ogni suo spettacolo dedicato a questa speciale sezione della moda è memorabile, come quello messo in scena per la collezione autunnale “The Beginning” a Piazza di Spagna, a Roma, luogo quasi sacro per la Maison e così denso di strati di storia, tale da diventare simbolo e ricordo iconico in molte persone.

Una collezione profondamente personale, perché tutta incentrata sulla storia della Maison fondata nel 1959 da Valentino Garavani e il suo partner Giancarlo Giammetti, e sul primo atelier che si trovava a Via Gregoriana, una strada stretta che si trova, ancor oggi, in cima alla scalinata di Trinità di Monti, e dove Piccioli ha voluto che questa sfilata iniziasse con le sue 100 modelle/modelli , per poi farle scendere le 11 rampe di travertino, ognuna formata da 12 scalini che si dividono, per finire in piazza di Spagna e poi proseguire per raggiungere Palazzo Mignanelli, sede definitiva della Valentino.

La chiusura di un cerchio, una sorta di conversazione ideale da parte di Piccioli, che ha dimorato per 23 anni in questa Maison, ma che rifiuta l’idea celebrativa, per narrare un nuovo concetto inerente alla pratica della couture, quella di un inizio continuo. Ricominciare da capo, perché lo stesso design può essere interpretato in modi completamente diversi dalla sua creazione, perché la differenza sono le persone che indossano quel capo a distanza di anni, il cosiddetto approccio umano, che racconta storie diverse.

E da qui che parte il Nuovo Umanesimo di Valentino intriso di bellezza che nasce dall’armonia, che non obbedisce a canoni estetici, a regole prefissate, che si materializza in ultimo nella sfilata, momento topico e realizzazione finale dell’idea, perché la moda non è statica, ma è movimento tra spazio e tempo.

Così che Piccioli ha assunto una posizione assertiva sull’argomento, concentrandosi prima su un casting differente, da quello che abbiamo appena visto a Parigi, e partendo dal simbolo della scalinata di Piazza di Spagna e del suo programma dedicato alla moda dal 1986 al 2003, dove le collezioni degli stilisti più famosi italiani dell’epoca venivano presentate in TV, un modo democratico per avvicinare le persone all’alta moda e far conoscere il lavoro che vi è dietro.

Ricordo quando ero studente che ero sempre emozionato a scendere queste scale, avendo la sensazione di percorrerle,” da dichiarato durante le prove dello show “per questo ho invitato alla sfilata 120 studenti delle scuole di moda di Roma, perché si sedessero e guardassero lo spettacolo e non fossero lasciati fuori nella calca”.

Allo scoccare del tramonto romano che bagna i gradini di travertino di una luce dorata, le creazioni di Piccioli hanno preso vita con le modelle/i che componevano un tableau vivant impressionante, che si confondeva con l’architettura e la sensibilità pittorica del luogo, di una citta eterna.

La moda è diversa dall’arte, in quanto l’arte serve solo a sé stessa, mentre la moda ha a che fare con il corpo, ecco perché la moda può avere voce in capitolo su questioni sociali come l’accettazione della diversità o la difesa dei diritti umani” ha dichiarato PierPaolo Piccioli nel descrivere alla stampa il regno della sua creatività per questa collezione.

La sua collezione è stata spettacolare per la raffinatezza e per dare alle generazioni future un manuale di storia del costume, creato dai temi preferiti da Valentino Garavani: dal primo look dove piumino a forma di boule, prendeva forma come se fosse una mantella ultracorta, leggermente imbottita con applicazioni di enormi rose in 3D nel color rosso Valentino, abbinato ad una mini tuta in paillettes rossa (una citazione al famoso vestito Fiesta realizzato da Valentino per la sua prima collezione) al gioco dei bianchi e neri che si rifanno ai mosaici romani e per l’estetica Art Déco della Secessione Viennese degli anni ’30.

Il look 100 era un lungo mantello etereo, costruito chirurgicamente con motivi geometrici in bianco e nero e assemblati da minuscoli pezzi organza, pizzo Chantilly e point d’ésprit.

Altro punto importante che riafferma PierPaolo Piccioli, che la sua couture deve essere anche maschile, perché c’è un mercato anche per lui, e la Maison ne è testimone con le vendite.

Ed ecco apparire assieme alle modelle, uomini che indossano cappotti e trench da uomo con forme mantenute classiche, ma con trame e superfici trattate con soluzioni fantasiose: dal mantello a bozzolo ricoperto di piume di organza al trench nero scintillante tempestato di micro paillettes squadrate e tagliate ognuno a mano. Così come il concetto di genere è sfocato nell’universo creativo di Piccioli perché un abito romantico in chiffon giallo con balze è stato indossato da un modello snello, tatuato e dai capelli rosa.

Una visione radicale contro tutte le idiozie antidemocratiche che il mondo sta lanciando, creare la bellezza come unico modo per combattere il conservatorismo e dare un palcoscenico a persone che sono considerate periferiche, e restare nel giusto posto senza recinzioni.

di Alberto Corrado